Monossido di carbonio, killer silenzioso anche a distanza dall’intossicazione.
E’ stata recentemente pubblicata una valutazione retrospettiva https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38918432/ sui possibili fattori che possono essere correlati con lo sviluppo, dopo intossicazione acuta da monossido di carbonio, delle sequele neurologiche definite come sindrome post-intervallare o sindrome neurologica ritardata.
L’intossicazione acuta da monossido di carbonio, già per sé, è una condizione patologica d’emergenza a rischio vita, dove la respirazione di questo gas satura l’emoglobina sostituendosi all’ossigeno che può evolvere a sintomatologia sempre più grave fino alla morte.
Non è sempre facile diagnosticare questa patologia perché non esistono segni e sintomi caratteristici dell’intossicazione da monossido di carbonio se non quando vi sia una chiara evidenza dell’esposizione e ove sia fatta diagnosi, la scelta dell’approccio terapeutico in base alla presentazione clinica non è mai cosi semplice, infatti non vi è un parametro fisiologico univoco che con totale certezza individui la gravità dell’intossicazione e quindi la prognosi, bisogna tenere presente quindi un insieme di segni, sintomi via via sempre più gravi, esami di laboratorio, tempi di esposizione e storia clinica del soggetto per indirizzare al meglio l’approccio terapeutico.
Le principali terapie da considerare e somministrare il prima possibile in tutti quei pazienti in cui vi sia il sospetto di intossicazione da monossido di carbonio sono l’ossigeno terapia iperbarica (OTI) e l’ossigeno normobarico ad alti flussi con eventualmente somministrazione di corticosteroidi e mannitolo.
Ma purtroppo a volte tutto questo non basta.
E’ noto infatti che l’evento acuto possa evolvere a distanza in una sindrome post-intervallare o sindrome neurologica ritardata caratterizzata da un’estrema variabilità di deficit e/o sintomi neurologici che possono essere anche associati ad alterazioni comportamentali.
Per queste ragioni è di prassi quindi prevedere nella fase acuta un monitoraggio neurologico a distanza dall’evento.
Sullo sviluppo di questa temibile sequela sono state formulate numerose ipotesi ma, a tutt’oggi, non vi è ancora una chiara evidenza di quali siano i fattori favorenti, sia organici che ambientali e quali siano le alterazioni organiche che possano fornire indizi sulla possibile evoluzione negativa.
Questa interessante analisi individua numerosi fattori indipendenti che possono aiutare nell’individuazione dei soggetti più a rischio di sviluppare la sindrome post-intervallare: età, anamnesi patologica, durata dell’esposizione al monossido di carbonio, durata del coma, grado del quadro sintomatologico, intervallo tra intossicazione acuta e la prima seduta OTI, numero totale di OTI effettuate e trattamento riabilitativo combinato.
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