I subacquei spesso mi domandano come possa capitare di ricevere al Centro Iperbarico di Bologna casi di embolia, visto che a Bologna non c’è il mare. Il dubbio è legittimo, ma oggi le distanze si sono ridotte e occasionalmente, può capitare che i sintomi si manifestino quando il subacqueo è di ritorno dal luogo d’immersione; così, anche il Centro Iperbarico di Bologna può diventare sede di primo intervento per una Patologia Da Decompressione (PDD).
Ho detto occasionalmente ma, in realtà, quest’anno abbiamo già visto, in acuto, tre casi di PDD, che hanno fatto diagnosi e il primo trattamento ricompressivo in camera iperbarica presso il nostro Centro.
Si è trattato di 3 forme di patologia da decompressione di tipo 1: una cutanea e due osteoarticolari con coinvolgimento, in entrambi i casi, di una spalla.
Il primo caso, quello della PDD cutanea, è una condizione piuttosto comune, legata alle modalità con cui si pratica la subacquea ricreativa, ovvero facendo più immersioni al giorno per più giorni consecutivi, accumulando, in tal modo, un elevato stress decompressivo.
Poiché la PDD cutanea è una delle forme che possono essere favorite alla presenza del forame ovale pervio (PFO) su questo subacqueo sono in corso gli accertamenti per verificarne la presenza. Fortunatamente, quella cutanea è una forma di PDD lieve, che si è risolta completamente dopo la terapia in camera iperbarica, anche se – in questo caso – è stata iniziata dopo alcuni giorni dall’insorgenza, a causa del tempo necessario per il rientro dai mari tropicali. Sicuramente, il buon esito del trattamento è stato propiziato anche dall’uso dell’ossigeno normobarico già in barca, subito dopo la comparsa dei sintomi.
Il secondo caso di PDD è stato, invece, meno consueto. Si è trattato, infatti, di una forma articolare insorta durante il viaggio di ritorno da un’immersione in lago, impegnativa dal punto di vista dello stress decompressivo e caratterizzata dalla necessità di risolvere un’avaria tecnica, ma condotta senza violazioni.
L’insorgenza dei sintomi che si è verificata dopo diverse ore, ha fatto sì che non sia stato possibile assumere l’ossigeno normobarico e che il trattamento in camera iperbarica, effettuato secondo la tabella 6 US Navy, sia stata la sola terapia praticata. Anche in questo caso abbiamo assistito alla completa risoluzione della sintomatologia.
Il terzo caso è stato molto particolare. Un uomo giovane, in perfette condizioni di salute, ha effettuato 2 immersioni in una giornata, immersioni piuttosto profonde (-40 e -36 m rispettivamente), ma abbondantemente entro i limiti della curva di sicurezza e con intervallo in superficie di più di 3 ore.
Nessuna violazione delle procedure decompressive. Erano presenti alcuni fattori che potremmo, col senno di poi, definire predisponenti, ma che spesso caratterizzano immersioni del tutto prive di inconvenienti:
– il freddo (acqua a 13C°),
– una muta stagna con collo molto stretto,
– scarsa idratazione,
– malessere e cefalea durante la seconda immersione.
Condizioni, certo, non ottimali, ma di per sé non sufficienti a dare spiegazione dell’insorgenza della PDD. Il subacqueo, già all’emersione, ha accusato dolore alla spalla sinistra, inizialmente lieve che è andato aggravandosi nelle ore successive fino a sera, tanto da indurlo a recarsi in pronto soccorso durante la notte.
La terapia in camera iperbarica è stata prontamente efficace e i sintomi sono scomparsi. Le indagini successive, volte alla ricerca di fattori predisponenti, sono risultate del tutto negative; quindi, in questo caso abbiamo assistito all’insorgenza di una forma di PDD completamente immeritata.
Quale messaggio possiamo ricavare da questi tre casi di PDD?
Il primo messaggio è, certamente, un appello alla consapevolezza.
La subacquea ricreativa, facile da praticare e apparentemente priva di pericoli, può, comportare un elevato stress decompressivo in diversi casi: quando gli intervalli in superficie fra le diverse immersioni sono troppo brevi, quando le immersioni sono effettuate nella fascia fra i 30 e i 40 metri, magari in acque calde e trasparenti che danno minore sensazione di profondità e quando utilizziamo il nostro computer per prolungare al massimo la permanenza in immersione.
In queste condizioni è necessario che il subacqueo abbia le idee molto chiare riguardo all’impegno decompressivo che caratterizza la sua vacanza, per poter decidere il livello di rischio che desidera accettare e conoscere gli accorgimenti che potrebbero rendere più sicura la sua attività, senza rinunciare a nessuna immersione. Vediamone alcuni.
In superficie
Corretta igiene di vita e un minimo d’impegno nel mantenere una buona forma fisica sono imprescindibili. Durante le vacanze subacquee bisogna fare attenzione a rispettare il riposo notturno, avere adeguata alimentazione e idratazione e ovviamente, se le condizioni fisiche non sono ottimali, è bene ridurre l’impegno programmato.
In Immersione
È bene effettuare immersioni multilivello, raggiungendo subito la massima profondità, per poi risalire lentamente, avendo cura di evitare i profili a yoyo. La prima immersione della giornata dovrà essere la più profonda e gli intervalli in superficie dovrebbero essere di almeno due ore (meglio di più che di meno).
Ricordiamo che il nitrox può essere molto utile per rendere l’immersione più sicura.
Se siamo subacquei ricreativi, non andiamo oltre i -40 m e rimaniamo in curva.
L’attrezzatura utilizzata dovrà sempre essere in perfetta efficienza, e il subacqueo la dovrà conoscere alla perfezione per poterla utilizzare senza incertezze; ciò significa che si deve effettuare molto addestramento e che molte immersioni semplici possono essere considerate il necessario allenamento per immersioni più complesse.
L’idoneità all’immersione non dovrebbe essere solamente una fastidiosa formalità. Molti subacquei sono più che adulti e portano in immersione tutte le patologie che colpiscono la popolazione generale anche fuori dall’acqua.
L’ipertensione, la bronchite cronica, l’obesità, l’intolleranza al glucosio, gli esiti di traumi e interventi chirurgici e l’abitudine al fumo sono solo alcuni esempi delle condizioni cliniche che, anche se non controindicano in maniera assoluta l’immersione, dovrebbero essere periodicamente controllate, anche con il Medico di Medicina Subacquea.
La ricerca del Forame Ovale Pervio non è raccomandata dalle linee guida su tutti i subacquei, presupponendo che l’attività ricreativa limiti lo stress decompressivo a valori accettabili, ma non sempre questo succede. Qui ricorderò solamente che lo screening per la ricerca del PFO non si fa con l’ecocardiogramma trans esofageo, ma con quello trans toracico con contrasto e/o con l’ecodoppler trans cranico con contrasto. Altre considerazioni sul PFO le rimando ad un prossimo articolo.
Vi aspetto al prossimo articolo, nell’attesa, buone immersioni a tutti!
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