La cute, con una superficie di circa 2 metri quadrati, è l’organo più grande del corpo e svolge molteplici compiti di vitale importanza. La ricerca scientifica sul processo di cicatrizzazione delle lesioni cutanee non è realmente cominciata fino alla seconda metà del XX secolo, quando la convinzione, secondo gli antichi dettami di Paracelso che la “natura, non il medico, porta alla guarigione”, è stata gradualmente sostituita dalla consapevolezza di poter influenzare e guidare il processo di guarigione delle ferite.
Infatti, una migliore conoscenza dei processi fisiopatologici, che sono alla base dell’insorgenza delle ulcere cutanee, ha permesso di mettere a punto numerose strategie terapeutiche in grado di sostenere adeguatamente gli sforzi dell’organismo stesso mirati a ristabilire la continuità del rivestimento cutaneo.
Tra le strategie terapeutiche, l’ossigenoterapia iperbarica (O.T.I.) occupa sicuramente un posto di primo piano , diventando una metodica terapeutica “quasi insostituibile” da sola o associata ad altre terapie nella cura delle ulcere cutanee.
Inoltre, un ruolo non secondario è rivestito da una vasta gamma di prodotti creati per rispondere alle esigenze ed alle caratteristiche delle ulcere cutanee, e mi riferisco alle “medicazioni avanzate”.
Le ulcere cutanee rappresentano un’affezione molto comune (si calcola che circa l’1% della popolazione ne sia affetta) estremamente invalidante, in quanto spesso caratterizzata da cronicità, guarigione lenta, dolore ed anche economicamente impegnativa per le famiglie e per la sanità. Costituiscono una patologia d’interesse multidisciplinare, che coinvolge: il chirurgo vascolare, il chirurgo plastico, il dermatologo, il geriatra, il diabetologo, il reumatologo, il medico di medicina generale ed infine ma non ultimo l’infermiere.
Mi accingo a descrivere in questo articolo il delicato e fondamentale ruolo che l’infermiere svolge in un centro di ossigenoterapia iperbarica, al fine di garantire il corretto effetto sinergico tra l’ossigenoterapia iperbarica e l’utilizzo delle medicazioni avanzate, connubio fondamentale per la guarigione delle lesioni cutanee con scarsa tendenza alla guarigione.
Definizione di ulcera e classificazione eziopatogenetica
Per definizione le ulcere cutanee sono soluzioni di continuo della cute, che possono approfondirsi nel sottocute, nel piano muscolare e fino al piano osseo. Sono caratterizzate dalla scarsa tendenza alla guarigione e si originano in seguito ad alterazioni del trofismo cutaneo; le ulcere cutanee sono provocate dal danneggiamento dei vasi venosi, arteriosi o di origine neuropatica oppure dagli effetti di una pressione locale e persistente.
Sebbene le ulcere cutanee si manifestino con quadri clinici molto eterogenei, i meccanismi fisiopatologici che portano alla cronicità si assomigliano molto: tutte le alterazioni vascolari che ne stanno alla base, anche se di diversa eziologia, sfociano alla fine in disturbi della nutrizione del tessuto cutaneo con progressiva ipossia ed ischemia, il che ha come conseguenza la morte cellulare con formazione di necrosi.
La maggior parte delle ulcere è di origine venosa, ci sono altre cause comuni come le patologie arteriose e neuropatiche; è tuttavia utile ricordare che le cause d’insorgenza di un’ulcera sono spesso multifattoriali. (1-2)
Ulcere venose
Le ulcere venose sono legate all’insufficienza venosa cronica, che a sua volta insorge in tutte quelle patologie che portano ad un difetto del ritorno venoso e all’ipertensione venosa.
Nella valutazione dell’insufficienza venosa cronica come fattore di rischio per lo sviluppo di ulcerazioni, uno dei primi segni clinici è sicuramente rappresentato dalle vene varicose, ma si possono anche osservare edema, dermatite da stasi, porpora e lipodermosclerosi. (1-3)
Ulcere arteriose
Le ulcere arteriose sono legate all’insufficienza arteriosa cronica. Le cause di occlusione o sub-occlusione ad andamento cronico dei vasi arteriosi sono l’arteriosclerosi unitamente all’angiopatia diabetica ed alla tromboangioite obliterante.(4) Le ulcere arteriose appaiono tipicamente tondeggianti e a margini netti.
Frequentemente si osserva un fondo fibroso giallastro o un’escara necrotica. Anche la presenza di tessuti necrotici ed esposizione dei tendini suggerisce un’eziologia arteriosa o una pressione cronica.
Ulcere neuropatiche
Le ulcere neuropatiche sono associate a fenomeni di parestesia o anestesia dell’arto inferiore ed in particolare modo del piede. Le ulcere neuropatiche sono più comuni, anche se non esclusive, nel diabete mellito.
Si calcola che il 70% dei piedi diabetici sia dovuto alla neuropatia, sebbene i pazienti affetti da diabete mellito presentino una microangiopatia diabetica, caratterizzata dalla ialinosi della membrana basale endoteliale che comporta l’ispessimento della parete di arteriole, venule e capillari, dalla proliferazione endoteliale e dalla stenosi di questi piccoli vasi. (5)
Ciò che si osserva nel piede diabetico è la comparsa di aree callose sovra-ossee nelle zone di pressione con eventuale comparsa di un’ulcerazione profonda al centro di queste.
Ulcere da decubito
Le ulcere da decubito sono aree localizzate di danno tissutale che si sviluppano quando i tessuti molli vengono compressi tra una prominenza ossea ed una superficie esterna. Sono dovute a lesioni ischemiche con conseguente necrosi della cute, del sottocutaneo e spesso del muscolo che ricopre l’osso sottostante.
Le sedi in cui più frequentemente insorgono ulcere da decubito sono: il sacro ( 85%), il grande trocantere, la tuberosità ischiatica, il ginocchio (condili mediali e laterali), i malleoli e i talloni; meno frequentemente vengono colpiti gomiti, scapole, coste, rachide, orecchie e nuca.
Le ulcere cutanee, anche se meno frequentemente, rappresentano il segno di patologie sistemiche di diversa natura tra queste vanno ricordate:
- ulcere post-emboliche;
- pioderma gangrenoso;
- necrobiosis lipoidica diabeticorum;
- vasculite allergica;
- sindrome di Sneddon;
- ulcere da criofibrinogenemia;
- ulcere Neoplastiche;
- organismi Infettivi.
Microambiente e guarigione
Le attuali conoscenze scientifiche circa il processo di guarigione di un’ulcera si basano, senza mai sottovalutare il trattamento delle patologie di base che favoriscono la formazione dell’ulcera, sull’importanza della “preparazione del letto dell’ulcera”.
Questa moderna terminologia ratifica l’importanza dei principi già applicati in passato sui criteri empirici di rimuovere o ridurre l’impatto dei fattori locali che possono creare un ritardo di guarigione, fino a raggiungere i criteri ideali di una lesione ben vascolarizzata, attraverso l’applicazione dei principi basilari della detersione, del controllo dell’umidità, del controllo della carica batterica, di una riduzione dell’essudato e della creazione di un ambiente umido. (13)
L’ambiente umido
All’inizio degli anni sessanta gli articoli chiave di Winter hanno dimostrato i benefici di una cicatrizzazione in ambiente umido. (14-15)
Da allora, il concetto di trattamento umido delle ferite è stato approfondito e chiarito, evidenziando come il mantenimento di adeguati livelli di umidità e ossigenazione a livello del letto dell’ulcera facilitino la migrazione delle cellule epidermiche, permettano un’aumentata concentrazione dei fattori di crescita, inducano una stimolazione dei macrofagi e l’inizio della detersione autolitica, abbiano effetti favorevoli sulla flora microbica, e, infine, stimolino i fibroblasti e la produzione di collagene. (16-17)
Questi effetti si traducono in una velocità di guarigione superiore del 50%, rispetto ad una lesione secca, associata ad una più rapida riepitelizzazione.
La detersione
La detersione comporta la rimozione del tessuto morto, devitalizzato o contaminato e dei materiali estranei dal letto dell’ulcera. Attraverso la rimozione del tessuto necrotico e infetto, la detersione riduce inoltre la carica batterica superficiale, esponendo gli spazi morti o loculati che possono rappresentare un ricettacolo di batteri o di essudato purulento.
È stato recentemente affermato come la detersione converte un’ulcera cronica o senza tendenza alla guarigione in una lesione acuta. Questo concetto, anche se apparentemente semplicistico, trova ragione nell’ipotesi che la detersione rimuove le cellule non più rispondenti ai fattori di crescita e non più in grado di sintetizzare i costituenti della matrice extra cellulare.
La rimozione del materiale disvitale permette, inoltre, la precisa valutazione delle dimensioni e della profondità della lesione e della natura delle strutture interessate dal processo ulcerativo. Può essere d’aiuto pensare al letto dell’ulcera in termini di colori: nero (necrosi), giallo (fibrinoso), rosso (granulazione), spesso variamente associati fra loro.
L’escara nera indica la presenza di tessuto devitalizzato che deve essere sempre rimossa perché possano iniziare i meccanismi di riparazione dai margini della lesione. Un fondo giallo adeso al fondo rappresenta generalmente strutture profonde come fascia o tessuto sottocutaneo e non deve necessariamente essere rimosso.
Un materiale giallo e molle può invece indicare la presenza di un processo infettivo o di fibrina degradata che deve essere eliminata per non ostacolare la formazione del tessuto di granulazione (18). I metodi utilizzati per la rimozione dei fattori che si oppongono alla guarigione delle ulcere croniche sono rappresentati dalla detersione chirurgica, enzimatica, autolitica e meccanica meglio descritti nel paragrafo successivo.
Controllo dell’essudato
Negli ultimi anni è stato evidenziato come l’essudato presente nelle ulcere croniche abbia effetti negativi sulla proliferazione e attività di alcuni tipi cellulari fra cui i fibroblasti e cheratinociti, coinvolti nel processo riparativo (19). L’essudato è generalmente descritto in base alla quantità (assente, moderato, abbondante), all’aspetto (sieroso, siero-ematico e purulento) e in base alla presenza o assenza di odore.
Se la quantità dell’essudato prodotta non viene controllata, questo può venire a contatto con la cute perilesionale e provocare macerazioni, con possibile estensione delle dimensioni dell’ulcera. Una notevole quantità di essudato deve allertare sulla presenza di cause sottostanti, come la presenza di edema, o rappresentare un segno precoce di infezione.
L’edema deve quindi essere trattato, in quanto causa di ritardo di guarigione per ragioni ancora non completamente conosciute, ma che probabilmente rappresentano una combinazione di ridotto flusso ematico, aumentata colonizzazione batterica dovuta all’accumulo di fluido interstiziale e forse intrappolamento di fattori di crescita e altri peptidi chiave da parte di macromolecole che fuoriescono dallo spazio extravascolare.
La presenza di essudato abbondante può inoltre rappresentare un segno precoce di infezione, in alcuni casi il colore e l’odore dell’essudato possono rappresentare una guida sul tipo di microrganismo implicato, come nel caso di contaminazione da pseudomonas, che determina un essudato verdastro dal caratteristico odore.
Controllo dell’infezione
Nella pratica clinica può essere difficile valutare un’ulcera che passa da una carica batterica non patologica a una vera e propria infezione in grado di ritardare il processo di guarigione.
Sono stati recentemente introdotti i concetti di contaminazione batterica, colonizzazione, colonizzazione critica e infezione locale o sistemica, che rappresentano una guida per l’uso di agenti antimicrobici.
La maggior parte delle ulcere è contaminata e contiene microrganismi non proliferanti. La colonizzazione è rappresentata dalla presenza di microrganismi replicanti ma che non causano danno all’ospite; né la contaminazione né la colonizzazione determinano segni clinici d’infezione o ritardo di guarigione.
Il concetto di colonizzazione critica (aumentata carica batterica) è stato introdotto recentemente per descrivere ulcere in movimento dalla semplice colonizzazione alla vera e propria infezione.
È stato suggerito che durante la colonizzazione critica possano essere presenti segni clinici modesti d’infezione, quali: aumento del dolore o senso di tensione, aumento dell’essudato sieroso, comparsa di tessuto di granulazione friabile, o mancanza di guarigione, prima dei segni classici di odore, pus, eritema circostante ed edema classici di infezione conclamata. (20)
La presenza di un’infezione può coincidere con la presenza di materiale giallastro colliquato. Nella fase di granulazione, un’aumentata carica batterica può determinare la comparsa di tessuto di granulazione di colore scuro, esuberante, friabile e maleodorante. L’ipergranulazione deve essere rimossa per favorire la riepitelizzazione.
Bisogna ricordare tuttavia come molti pazienti con ulcere croniche presentino un ritardo di guarigione. Questi pazienti possono anche mostrare segni sub-clinici o avere completa assenza di segni d’infezione, nonostante i microrganismi stiano danneggiando il letto dell’ulcera.
Fattori come l’immunosoppressione, il diabete e alcuni farmaci possono inoltre favorire un processo infettivo e mascherare i segni classici dell’infezione, quali: eritemi, aumento della temperatura, dolore ed edema locale.
Una causa importante di aumento della contaminazione batterica e di ritardo della cicatrizzazione è rappresentata dalla presenza di uno spazio morto non colmato. (21)
Le aree cavitarie, o sottominate, dell’ulcera devono essere quindi gentilmente zaffate con adeguati materiali di medicazione, evitando un iper-riempimento della cavità che determinerebbe, infatti, una compressione del tessuto di granulazione neoformato creando un danno che impedisce o ritarda la guarigione. L’iper-riempimento può inoltre ridurre la capacità assorbente del materiale di medicazione impedendo l’assorbimento dell’essudato.
In presenza di sospetto di infezione locale, un esame colturale risulta d’ausilio per evidenziare i microrganismi presenti e valutare la carica batterica. Il semplice lavaggio mediante irrigazione dell’ulcera, oltre ad eliminare l’essudato e i detriti superficiali, rappresenta già una metodica efficace nel ridurre la carica batterica e rimuovere il materiale contaminato dalla superficie dell’ulcera.
L’uso di antisettici locali appare ancora controverso, in quanto a una riduzione della proliferazione batterica si associano spesso effetti citotossici.
Sotto questo profilo, il povidone/iodio e la clorexidina appaiono i prodotti dotati di minor attività istolesiva a fronte di una buona attività terapeutica. Sono attualmente disponibili prodotti antisettici in grado di rilasciare lentamente il principio antibatterico in modo di ridurre la tossicità cellulare e tissutale. Tra questi il cadexomero iodico permette, inoltre, la creazione di un ambiente umido.
La sua composizione in microsfere polisaccaridiche (cadexomero) gli permette di assorbire liquidi fino a sette volte il suo peso in acqua, mentre il lento rilascio dello iodio garantisce una adeguata antisepsi in assenza di effetti citotossici. Un’estensione dei segni clinici d’infezione oltre i limiti della lesione, o un’esposizione ossea, impongono sempre il ricorso ad antibiotici per via generale.
La fase di riepitelizzazione
Coincide con la comparsa di bottoni di nuovo epitelio ai margini della lesione, ma anche nelle sue porzioni centrali a partenza dalle strutture follicolari residue.
Questa fase rappresenta lo stadio conclusivo di un’adeguata preparazione di un letto di una lesione ben vascolarizzato, in cui sono stati creati i presupposti per il proseguimento dei meccanismi fisiologici della cicatrizzazione.
In questa fase appare importante soprattutto la copertura della lesione, al fine di evitare la contaminazione batterica, mediante materiali in grado di mantenere un’adeguata umidità locale e di essere rimossi senza danneggiare i fragili bottoni di granulazione e di riepitelizzazione neoformati.
Doru Marian Iofciu Vasile
Staff infermieristico
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