Capita spesso di leggere articoli ridondanti che riprendono i post di atleti di alto livello che, con un selfie, si ritraggono all’interno della loro personale camera iperbarica monoposto mentre respirano ossigeno mediante una maschera con reservoir che scarica in ambiente.
Perché lo fanno?
Lo fanno perché l’ossigeno iperbarico accelera il recupero dello stato di fatica, contribuisce a una rapida guarigione dei microtraumi muscolo scheletrici causati dallo sport praticato intensamente, combatte l’infiammazione e lo stress ossidativo che indeboliscono le difese immunitarie e causano senso di fatica e ancora si potrebbe continuare, perché gli effetti terapeutici dell’ossigeno iperbarico sono numerosi e ben documentati in letteratura scientifica.
I motivi sembrano più che validi e un investimento di 20.000 € sembrerebbe più che giustificato per un atleta che guadagna milioni.
Ma, ricordiamoci che quando una cosa è troppo bella si deve sempre cercare di capire dove sta la fregatura.
E, in questo caso, le fregature (il plurale è d’obbligo perché sono più di una) si devono cercare nella dose di ossigeno e nei pericoli connessi all’utilizzo di dispositivi medici a pressione.
Vediamo le cose una alla volta.
La dose dell’ossigeno iperbarico
La camera iperbarica è un fantastico strumento che permette di trasformare l’ossigeno, da semplice molecola indispensabile per la vita, in un farmaco.
Sì, avete letto bene, un farmaco; un farmaco come una semplice aspirina (o acido acetilsalicilico che dir si voglia) dotato di effetti terapeutici che per manifestarsi dipendono dalla corretta somministrazione (giusta dose per un tempo appropriato) e da tossicità che, a sua volta, può manifestarsi per l’assunzione di dosi sbagliate, per la presenza di controindicazioni cliniche o per cause fortuite.
L’ossigeno è un farmaco che si respira e la sua dose si calcola moltiplicando la percentuale dell’ossigeno nella miscela respiratoria (%O2) per la pressione dell’ambiente nel quale si respira (PA = pressione di pressurizzazione della camera iperbarica) e per il tempo di permanenza nell’ambiente pressurizzato (t).
In altre parole: dose di ossigeno = %O2 x PA x t
Tutti i meravigliosi benefici riportati qualche riga più sopra richiedono la somministrazione di ossigeno al 100% ad una pressione più alta di 1,5 atmosfere assolute (ATA) che equivalgono alla pressione presente sott’acqua a – 5 metri di profondità.
Questa è la dose minima efficace dell’ossigeno iperbarico e viene normalmente utilizzata in terapia solo per il trattamento dei danni cerebrali e delle patologie della retina, in quanto il tessuto nervoso è particolarmente sensibile agli effetti dell’ossigeno iperbarico.
Al disotto di questi valori la respirazione di ossigeno non è considerata ossigeno terapia iperbarica e non sono documentati effetti terapeutici. Quindi, se la pressione della camera è minore di 1.5 ATA o la percentuale dell’ossigeno che respiro a 1,5ATA è minore del 100%, ciò che faccio non ha effetti terapeutici documentati e di fatto, non serve.
I dispositivi medici venduti come tende a ossigeno o camere iperbariche gonfiabili monoposto non possono avere una pressione di esercizio maggiore di 1,45 ATA e nella maggior parte dei casi a me noti lavorano a circa 1,2 ATA e non possono essere definiti camere iperbariche!
L’unica indicazione approvata per questi dispositivi è il trattamento del mal di montagna in alta quota!
Inoltre, il sistema di respirazione dell’ossigeno prevede che venga utilizzata una mascherina con reservoir che, se alimentata con ossigeno puro (da bombola) e correttamente utilizzata, assicura una disponibilità di O2 di circa il 75%.
Infine, la linea di respirazione è alimentata da un concentratore che estrae l’ossigeno presente nell’aria raggiungendo, se va bene, una concentrazione di circa il 90%.
È evidente che se la dose minima dell’ossigeno iperbarico, per essere terapeutica, deve essere quella ottenuta respirando O2 100% a 1,5ATA = PpO2 1,5 ATA.
Con questi dispositivi otteniamo un valore che, benché non sia misurabile in modo preciso, può essere ottimisticamente quantificato in: O2 60% a 1,2ATA = PpO2 0,72 ATA, ovvero, una quantità pari a circa la metà della dose minima efficace per l’ossigeno terapia iperbarica!
Si noti, inoltre che per il recupero della fatica e dei micro traumi dello sportivo è indicata una dose di ossigeno decisamente più alta del valore minimo terapeutico e pari a una pressione parziale di ossigeno di 2 ATA ovvero O2 100% respirato a 2,0 ATA.
Quindi, i nostri campioni si sottopongono a trattamenti con ossigeno macroscopicamente sotto dosato ma, ciò nonostante, non sono esenti da rischi.
Pericoli connessi all’uso domestico dei dispositivi medici a pressione
In Italia i dispositivi medici a pressione, realizzati per ospitare al loro interno persone per fare una sorta di terapia iperbarica, possono essere commercializzati grazie ad un vuoto normativo.
Questi, infatti, indicando una pressione di esercizio inferiore a 1,5 ATA non rientrano nella rigida normativa che disciplina le camere iperbariche vere e proprie, ma risultano semplici dispositivi medici e sono soggetti a questa sola normativa (D.L. 24/2/1997, n. 46) che pone vincoli assai meno stringenti e, soprattutto, non prende in considerazione le problematiche connesse alla sicurezza in iperbarismo.
Per il legislatore il semplice fatto che la pressione di esercizio sia bassa sembrerebbe essere garanzia di sicurezza sufficiente a consentire a chiunque di sottoporsi, anche da solo, senza assistenza alcuna e senza nessuna competenza tecnica a periodiche esposizioni a un ambiente ricco di ossigeno e pressurizzato, privo di qualsiasi sistema di controllo e di sicurezza.
In un centro iperbarico vero, per sottoporre anche una sola persona a una seduta di ossigeno terapia iperbarica alla minima pressione terapeutica di 1,5 ATA sono necessari personale qualificato e strumentazione certificata, collaudata e costantemente verificata secondo la normativa vigente (D.M. Difesa 18.12.1981- Linee guida ISPESL Gestione in sicurezza camere iperbariche multiposto per uso clinico).
Da questi documenti, fra le altre cose, si evince che il personale che, di minima, deve essere presente è:
- un medico iperbarico per la visita di accettazione, la prescrizione del piano terapeutico e la sorveglianza del centro durante la seduta di terapia;
- un tecnico iperbarico per le manovre di compressione e decompressione della camera iperbarica e per la sorveglianza dei parametri ambientali oggetto di monitoraggio;
- un operatore sanitario qualificato ad operare in iperbarismo per l’assistenza del paziente all’interno della camera durante la seduta di terapia;
e che l’impianto iperbarico deve essere dotato di:
- Camera iperbarica conforme alla normativa.
- Sistema antincendio adeguato alle dimensioni dell’ambiente.
- Presenza di un estintore ad acqua all’interno della camera iperbarica.
- Sistema di erogazione dell’ossigeno a richiesta e a circuito chiuso, con scarico veicolato all’esterno; si noti che la respirazione a flusso continuo mediante caschetto tipo CPAP, anche se con scarico veicolato all’esterno è permessa in un solo paziente per camera!
- Sistema di rilevazione continua dell’ossigeno in ambiente per intercettare ogni possibile dispersione (la terapia deve essere interrotta se l’ossigeno in ambiente raggiunge il 22,5% rispetto al valore normale dell’ossigeno nell’aria del 21%).
- Inoltre, è rigorosamente vietata l’introduzione in camera iperbarica di ogni possibile fonte d’innesco compresi cellulari, tablet, telecomandi, orologi a batteria ecc…
Ricordo, infine, che in Italia le camere iperbariche monoposto, ovvero realizzate per fare ossigeno terapia iperbarica a un solo paziente alla volta, sono vietate.
Salta immediatamente agli occhi la macroscopica differenza fra le due distinte situazioni.
Al centro iperbarico è adottato un monitoraggio puntuale e ridondante di tutti i parametri in gioco, per assicurare efficacia e sicurezza alla terapia; a casa è un salto nel buio, poiché, l’esposizione autogestita da una persona non qualificata ad un ambiente pressurizzato e ricco di ossigeno, anche a pressione inferiore a 1,45 ATA ha un rischio di incendio altissimo!
Si noti che il semplice fatto che i nostri campioni abbiano postato dei selfie mentre fanno la loro terapia quasi-iperbarica, significa che hanno portato il telefono dentro al dispositivo a pressione e questo sarebbe stato impossibile, poiché rigorosamente vietato, in qualunque centro iperbarico.
Infine, dobbiamo ricordare che anche una compressione a 1,4ATA può causare barotraumi alle orecchie e ai seni paranasali se non si effettua correttamente la compensazione o se è in presenza di infiammazioni delle alte vie respiratorie.
Per concludere queste riflessioni sulle camere iperbariche monoposto per uso domestico, mi permetto di dare alcuni suggerimenti.
Chiunque pensi di poter trarre giovamento dall’ossigeno terapia iperbarica, anche solo per accelerare la guarigione dei microtraumi dovuti allo sport oppure per migliorare il trofismo e la lucentezza della cute o per contrastare l’invecchiamento cerebrale e il declino cognitivo, o qualunque altra motivazione gli venga in mente, piuttosto che il fai da te, è bene che si rivolga ad un medico iperbarico che, dopo una visita accurata, potrà dirgli se nel suo caso OTI possa essere utile e in caso affermativo formulare un piano terapeutico personalizzato.
In questo modo, pur non avendo la comodità di avere la nostra cameretta iperbarica in salotto (che poi farebbe la fine della cyclette, che diventa appendi abiti) avremo la certezza che, qualora ci sottoponessimo a terapia, sarebbe un trattamento efficace e privo di pericoli.
Con i 20.000€ che servono per il dispositivo domestico si fanno più di 200 sedute di vera terapia iperbarica!
Secondo me conviene.
Dott. Ferruccio Di Donato
Laurea in Medicina e Chirurgia Università di Bologna
Specializzazione in Medicina del Nuoto e delle attività subacquee – istituto di fisiologia umana Università di Chieti
Ordine Dei Medici di Bologna N° 11812
Scopri di più sull’ossigenoterapia iperbarica e sui benefici del trattamento
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