Lo specialista Audiologo che accoglie un paziente con acufene ha spesso davanti a sé una persona che si è già districata tra numerose informazioni su internet, pareri di amici e parenti che hanno lo stesso problema e tanti esami strumentali esitati in un “nulla di fatto”. È difficile fare chiarezza, dipanare tutti i dubbi e soprattutto ridurre quei sentimenti di ansia e stress che frequentemente intaccano la qualità di vita di questi pazienti.
Per intraprendere il giusto percorso diagnostico e terapeutico dobbiamo inquadrare bene il problema, della serie “conosci il tuo nemico”.
L’acufene è la percezione soggettiva di un suono in assenza di una stimolazione acustica esterna. È un sintomo e non una malattia di per sé, ed è necessario pertanto comprendere quali meccanismi patologici lo sottendono. L’acufene rappresenta uno dei sintomi otologici più comuni e si associa spesso ad altri sintomi come la perdita di udito e l’iperacusia.
Le ultime revisioni della letteratura rivelano che il 10,1% della popolazione adulta soffre di acufeni e la prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età.
Classificare l’acufene può darci informazioni importanti, in particolare nella prime fasi.
L’acufene può essere soggettivo, quando è udito soltanto dal paziente ed è normalmente generato dalle strutture uditive, oppure oggettivo quando può essere udito anche dall’esterno e quindi obiettivabile. Quest’ultimo tipo di acufene è interessante poiché il soggetto riferisce il suono a livello dell’orecchio ma questo può essere generato in diverse parti del corpo (orecchio, collo, testa, strutture vascolari ecc.) e quindi sarà oltremodo importante l’esecuzione di un esame obiettivo approfondito, ed eventuali esami strumentali mirati, per individuarne l’origine.
L’acufene inoltre può essere bilaterale (solitamente nei casi di presbiacusia, esposizione cronica ai rumori, trattamenti farmacologici ototossici ecc.) oppure unilaterale (solitamente nei casi di ipoacusia improvvisa, trauma acustico omolaterale, infezioni dell’orecchio, idrope endolinfatica ecc.)
Un’altra classificazione utile per la diagnosi differenziale dell’acufene riguarda il tipo di suono che può essere pulsatile o non-pulsatile. Il primo caso ha spesso origini vascolari, ipertensione endocranica o sistemica, malformazione atero-venose ecc. Il secondo caso, più frequente, è spesso correlato alla perdita di udito, all’esposizione a rumore o al neurinoma dell’acustico.
L’acufene può essere primario (ovvero idiopatico e associato o meno a perdita di udito) oppure secondario (associato ad una causa specifica sottostante).
Infine, l’acufene può essere classificato in base al tempo di persistenza in acuto, fino a tre mesi, subacuto, fino a sei mesi, e cronico oltre i sei mesi.
Sulla base di queste iniziali informazioni evidenziamo di seguito quali caratteristiche più di altre devono portare il paziente a contattare rapidamente lo Specialista:
La visita audiologica deve prevedere un’attenta raccolta anamnestica della storia del paziente, un esame obiettivo approfondito di tutti i distretti che possono essere coinvolti e l’esecuzione di esami audiometrici mirati (audiometria tonale, impedenzometria, acufenometria ecc.) ed eventualmente la prescrizione di esami strumentali più approfonditi per una migliore definizione diagnostica (es. risonanza magnetica cerebrale).
La brutta notizia è le cause dell’acufene sono tantissime, quella bella è che la maggior parte sono benigne.
Riassumiamo le più comuni e potenzialmente reversibili:
A questi dobbiamo aggiungere gli acufeni primari a cui abbiamo fatto riferimento precedentemente, ovvero non riferibili ad una causa specifica ed associati o meno a perdita di udito.
Da non sottovalutare sono anche i fattori di rischio per l’acufene, non solo la perdita di udito ma anche esposizione a rumore, fumo, mancanza di un buon ritmo sonno-veglia, stati depressivi, ipertensione, dislipidemia, apnee del sonno, disfunzioni dell’articolazione temporo-mandibolare. Un recente studio descrive bene come spesso l’acufene si manifesti tempo dopo la perdita di udito e questo spesso in concomitanza di altri eventi negativi che agiscono come dei “trigger” e innescano il sintomo. È importante lavorare anche su questi aspetti per poter prevenire l’insorgenza dell’acufene.
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Giungiamo quindi all’aspetto che più interessa i pazienti: le terapie per l’acufene.
Dobbiamo rifarci a quello che abbiamo descritto in precedenza.
Se ci troviamo di fronte ad un acufene secondario la terapia sarà specifica e mirata alla risoluzione della causa sottostante.
Se invece abbiamo a che fare con un acufene primario dobbiamo valutare innanzitutto l’associazione con la perdita di udito.
Se è presente anche sordità e la sintomatologia è ad esordio improvviso la terapia è standardizzata secondo le linee guida del trattamento dell’ipoacusia improvvisa ed è caratterizzata da specifica terapia farmacologica e ossigenoterapia iperbarica (10 sedute poi controllo ed altre 10 sedute in caso di documentato miglioramento).
Negli altri casi di acufene primario possono essere prese in considerazione molteplici terapie; le più frequenti elencate di seguito.
È fondamentale in questi casi effettuare un approfondito counseling con il paziente per adattare al meglio la strategia terapeutica.
Concludendo, possiamo dire che l’acufene mette spesso a dura prova medici e pazienti ma con tempestività e accuratezza è possibile intraprendere il giusto percorso diagnostico e terapeutico-riabilitativo.
Dott.ssa Lisa Gamberini
Laurea in Medicina e Chirurgia, Università di Bologna
Ordine dei Medici Chirurghi di Bologna N° 17290
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